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Agnese Nocenti

Ovidio, il cantastorie

Aggiornamento: 27 mag 2020

In nova fert animus mutatas dicere formas

corpora. Di, coeptis - nam vos mutastis et illas -

adspirate meis primaque ab origine mundi

ad mea perpetuum deducite tempora carmen.


L'estro mi spinge a narrare di forme mutate

di corpi nuovi. O dèi - anche queste trasformazioni furono opera vostra -

seguite con favore la mia impresa e fate che il mio canto

si snodi ininterrotto dalla prima origine del mondo fino ai miei tempi.


Intorno a lui solo grigio.

Da un lato, le onde metalliche del Ponto Eusino mormoravano il loro canto eterno sotto un cielo plumbeo, dall'altro la steppa si muoveva al flebile zefiro come un mare d'argento: una distesa di assenzio, pianta amara come l'esilio. Era primavera, ma non sembrava.


Nei bei tempi andati, il nuovo anno si festeggiava proprio con il risveglio della natura: al tempio di Vesta veniva rinnovato il fuoco sacro e si facevano rituali al potente Marte. Da diversi anni, però, il capodanno era stato spostato alle feste di Giano, il dio bifronte delle fini e degli inizi. Guardò Tomis, quello sputo di terra barbara in cui l'imperatore Ottaviano l'aveva relegato: l'atmosfera era cupa, come a ricordargli che la parte più bella della sua vita era finita e ne stava iniziando un'altra, triste e desolata. Pochi mesi prima erano morti Messalla, Mecenate e Orazio, i dolci conversari insieme a loro e a Properzio, Tibullo e Sulpicia erano finiti e aveva dovuto lasciare a Roma la sua Fabia...


Publio si strinse nel mantello e chiuse gli occhi. La solitudine e la pena lo opprimevano, rivoleva tutto quello che aveva perso: i colori, la bellezza, il calore, le risate, l'ebbrezza. Lentamente riaprì gli occhi e accennò un sorriso. Lui non era solo: aveva la cultura a fargli compagnia, aveva i filosofi e i poeti del passato che gli parlavano dai libri. E, per Giove, era o non era lo scrittore delle Metamorfosi?


Aveva passato anni a tendere l'orecchio ai miti e alle leggende che la gente raccontava, come un'ape in un campo di fiori, e poi li aveva vestiti di esametri. Sarebbero diventati il miele per addolcirgli l'amarezza dell'esilio. Sapeva che le sue Metamorfosi non valevano quanto l'Eneide di Virgilio, di sicuro Ottaviano a quell'ora le aveva fatte tutte bruciare, ma a Publio non importava: la fama e gli onori non gli erano mai interessati granchè. Gli dispiaceva però se quelle belle storie sarebbero morte con lui.


Ma Publio non sapeva quanto si sbagliasse. Le "sue" storie avrebbero ispirato artisti e scrittori nei secoli a venire: Dante Alighieri, William Shakespeare, Gian Lorenzo Bernini, Michelangelo Merisi da Caravaggio...

 

Perché leggere "Le metamorfosi"?

Le metamorfosi, scritte da Publio Ovidio Nasone nel 8 d.C., sono il fondamento della cultura e dell'arte occidentale. Non si può capire fino in fondo la nostra cultura e non si può apprezzare fino in fondo l'arte se non si conoscono i miti narrati nelle Metamorfosi.


Raffaello Sanzio, Il Trionfo di Galatea (1512), Villa Farnesina - Roma
Raffaello Sanzio, Il Trionfo di Galatea (1512), Villa Farnesina - Roma. Il mito di Galatea è narrato nel XIII libro delle Metamorfosi

La narrazione copre un arco temporale che inizia con il Chaos (lo stato primordiale di esistenza da cui emersero gli dei) e culmina con la morte di Gaio Giulio Cesare. Nei 15 libri vengono raccontati circa 250 miti greci, per questo motivo, Le metamorfosi, sono considerate a tutti gli effetti "l'enciclopedia della mitologia classica".


Biografia dell'Autore:

Publio Ovidio Nasone nasce a Sulmona il 20 marzo del 43 a.C. Come tutti i rampolli delle gens benestanti, viene mandato a Roma e poi ad Atene per studiare grammatica e retorica; lui, curioso e dall'ingegno vivace, ne approfitta per visitare anche l'Asia Minore, l'Egitto e la Sicilia. Il padre lo vorrebbe vedere avvocato, ma Publio non ne ha il carattere: dopo aver ricoperto senza troppo entusiasmo alcune cariche pubbliche minori, si dedica completamente alla poesia, entrando nel circolo di Valerio Messalla Corvino e in quello di Gaio Cilnio Mecenate. Compone opere di tema amoroso come Amores ed Heroides ed erotico (Ars amatoria), ma il suo capolavoro sono le Metamorfosi. Nell'anno 8 d.C. un editto di Augusto lo esilia a Tomi, un paese sperduto alle foci del Danubio, sul Mar Nero, dove rimarrà fino alla morte avvenuta dieci anni più tardi: di questo cupo e disperato periodo sono Tristia ed Epistulae ex Ponto.


Brano consigliato durante la lettura: Sledgehammer - Peter Gabriel


William Waterhouse, Eco e Narciso (1903). Il mito di Narciso è narrato nel III libro delle Metamorfosi

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